Si torna a parlare del rilancio del nucleare nel Vecchio Continente, mentre il governo italiano inizia a pensare al 2032 come data di entrata in operatività delle nuove centrali. Un dato degli ultimi mesi, che il golpe in Niger può incentivare nel suo trend, fa riflettere molto sul tema. Parliamo del volo dell’uranio. Il prezzo dell’uranio ha raggiunto cifre a due zeri quest’anno, raggiungendo livelli che non si vedevano da tempo. Questo aumento è avvenuto in ritardo rispetto a quello di altre materie prime utilizzate nelle energie rinnovabili, come il litio, il cobalto, il rame e il nichel. Il mercato dell’uranio è caratterizzato da una domanda crescente da parte di reattori e investitori e da un’offerta limitata. L’uranio è il combustibile dominante per i reattori nucleari, che sono sempre più considerati una soluzione per raggiungere la neutralità climatica. Inoltre, sono in corso di sviluppo nuovi reattori più piccoli e modulari (SMR), che potrebbero accelerare la domanda di uranio. Tutto ciò sta iniziando a stimolare la domanda di uranio, mentre i prezzi bassi del passato hanno ampliato il deficit di offerta delle miniere al 25%. Un gap che oggi si fa sentire pienamente La situazione è aggravata dai timori per l’approvvigionamento da parte dei principali produttori: la Russia, con l’interruzione potenziale se l’uranio sarà incluso nelle sanzioni, e il Niger, dopo il recente colpo di stato a cui si è aggiunta la crisi del Gabon che ha mostrato l’eterna instabilità africana.

Questo tema si lega alla necessità percepita degli investitori di ricordare nel settore della transizione energetica il ruolo fondamentale del settore minerario. BlackRock, il più grande gestore patrimoniale del mondo, ha avvertito nell’ultima settimana di ottobre che la reticenza degli investitori nei confronti dell’estrazione mineraria rischia di affamare il settore dei capitali e ostacolare la transizione energetica creando carenze di metalli vitali per le tecnologie verdi. Un dato che in Europa si può espandere all’uranioEvy Hambro, responsabile globale degli investimenti tematici e settoriali presso il gruppo statunitense, ha affermato che è necessario che i finanziamenti affluiscano al settore per garantire un’adeguata fornitura di materiali per prodotti dalle turbine eoliche alle auto elettriche, nonché per aggiornare le reti elettriche. “Se le persone non danno una possibilità a questo settore, la transizione energetica sarà ostacolata dalla scarsità di materiali per costruire tutto il necessario”, ha affermato. “Questa transizione energetica sta iniziando a mettere in luce alcuni punti deboli di questo tipo di atteggiamento compiacente”. Il settore minerario continua a non essere amato dagli investitori nonostante i profitti record di molte grandi aziende lo scorso anno e nonostante le diffuse aspettative di un boom della domanda di metalli come rame, minerale di ferro e nichel per fornire le tecnologie e le infrastrutture necessarie per ridurre la dipendenza mondiale dai combustibili fossili.

Il combinato disposto tra queste due notizie impone una riflessione strutturale sul tema della transizione energetica e del ruolo dell’economia bresciana. In primo luogo, l’importanza delle tecnologie e della cultura mineraria per questo settore. In secondo luogo, la necessità di pensare alla transizione come a una catena del valore complessa e da strutturare a tutto campo. In terzo luogo, come dimostra, il fatto del nucleare, l’impossibilità di pensare al settore senza considerare le dinamiche geopolitiche e, soprattutto, di considerare giocoforza una tecnologia come “salvifica” rispetto alle altre. Tecnologia, filiere e neutralità di scelta tra settori possono dare il là a un approccio virtuoso alla transizione.