Spesso chiamata a far parlare di sé per le divisive politiche del governo di Viktor Orban, l’Ungheria è un Paese che sul piano economico però mostra indubbiamente prospettive sistemiche per le imprese italiane. Roma nel 2022 è stata il quinto partner commerciale

di Budapest ma, soprattutto, il secondo destinatario del suo export.  L’interscambio complessivo vale infatti 12 miliardi di euro.

Questi dati, uniti al fatto che l’Italia è anche il secondo investitore straniero in Ungheria, con oltre 1.100 imprese italiane presenti nel Paese, che impiegano circa 70.000 dipendenti e fatturano 4,5 miliardi di euro l’anno, mostrano che l’Italia ha fatto dell’Ungheria, assieme a Paesi come Serbia e Polonia, una frontiera della delocalizzazione e della gestione delle catene del valore che rende più facile la resilienza della nostra impresa in tempi segnati da crisi logistiche e alta inflazione.

I due Paesi hanno firmato diversi accordi di cooperazione economica, tra cui il Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1991, il Piano d’Azione per il Rafforzamento della Cooperazione Economica del 2012 e il Memorandum d’Intesa sulla Cooperazione Industriale del 2019. “I settori industriali e dei servizi sono predominanti e tra i settori chiave che contribuiscono in modo significativo alla crescita economica figurano l’automotive, le biotecnologiche, le tecnologiche dell’informazione, l’elettronica, le energie rinnovabili e il settore dei servizi condivisi”, ha fatto notare l’Istituto per il Commercio Estero in un suo report.  L’attenzione va posta tanto sulle filiere tradizionali quanto su quelle di frontiera.

Ad esempio, nota l’Ice, “la biotecnologia è un campo relativamente giovane in Ungheria” ma già promettente, mentre “l’industria farmaceutica è ben sviluppata e vanta una tradizione decennale nei settori della chimica e della biologia. Grandi aziende farmaceutiche internazionali hanno investito nella produzione e nella ricerca e sviluppo”. Parliamo di un paese partner, dunque, su cui le imprese italiane possono mettere gli occhi in fasi in cui nell’economia internazionale anche la sicurezza delle filiere e delle prospettive d’investimento fa la differenza per l’internazionalizzazione delle imprese.