L’Africa è teatro di due conflitti violenti e spesso dimenticati che, però, incidono profondamente sull’ordine internazionale e sugli equilibri tra le potenze, aprendo anche una riflessione profonda sul futuro del continente più martoriato al mondo. Parliamo dei conflitti in Sudan e Congo.

Nel primo caso, ci avviciniamo ai due anni di guerra civile interna al Paese che si trova tra il Sahara e il Mar Rosso, tra l’Egitto e l’Etiopia, controllando una quota importante del corso del fiume Nilo e insistendo su un’area strategica per molte potenze, come Usa e Russia che da tempo studiano la sfida tra il governo centrale di Khartoum, guidato dal generale al-Buhran e i ribelli delle Forze di Supporto Rapido (Rsf), ex gruppo paramilitare delle forze armate tristemente noto per le mattanze compiute nella guerra del Darfur e il cui leader, il generale Hemetti, dal 2023 intende formare un contro-governo con il sostegno di Emirati Arabi, milizie straniere (come la russa Wagner) e governi locali, quali quello del Kenya.

Nel secondo caso, si è riacceso a gennaio il conflitto del Kivu, dove il movimento ribelle tutsi M23, sostenuto dal Ruanda, ha occupato in poco più di un mese Goma e Bukavu, le principali città dell’Est del Congo. Un’area, quella su cui insiste il conflitto, nota per le ricchezze naturali e per i minerali strategici per l’industria tecnologica che il Ruanda è accusato di contrabbandare. In un mese abbiamo avuto almeno 7mila morti in una brutale recrudescenza del conflitto che ha causato anche lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone. M23 avanza con la presenza sul campo di ben 4mila militari del Ruanda, un’aggressione in piena regola che a livello internazionale ha suscitato condanne. Un round di sanzioni europee è pronto ma manca per approvarle il via libera del Lussemburgo, che per ora pone il veto. E intanto i massacri continuano.