La settimana finale di febbraio ha sottolineato una serie di problematiche politiche di primaria importanza per l’Europa, soprattutto in seguito al maltrattamento subito da Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, durante il ricevimento alla Casa Bianca del 28 febbraio scorso. Donald Trump e il vice J.D. Vance hanno sancito uno strappo che si è iniziato a far sentire anche in Europa, continente che sta definendo il futuro delle sue politiche di Difesa e sicurezza.
La realtà parla di una problematica strutturale in cui l’Europa tutta, dall’Ue ai Paesi esterni come Regno Unito, Norvegia e Turchia, deve iniziare a pensare a un mondo in cui la garanzia di sicurezza americana non sarà più da dare per certa e, soprattutto, in cui di fronte alla ripresa delle logiche di potenza urgerà prepararsi al meglio per affrontare un deterioramento senza precedenti della sicurezza collettiva nel mondo post-Seconda guerra mondiale.
Il summit di Londra del 2 marzo e quello di Bruxelles del 6 marzo assurgono dunque a crocevia della storia europea contemporanea ed è forte e comune l’attenzione a mettere a terra progetti di sviluppo orientati al rafforzamento delle capacità militari europee per alzare la soglia della deterrenza, procedere a sancire lo sviluppo di forze armate solide e in grado di garantire proiezione, protezione e prevenzione delle principali minacce. Ad oggi, ci rendiamo conto del fatto che non serve limitarsi a piangere il distacco dagli Usa. Urge piuttosto concentrarsi sullo sviluppo di capacità comuni, spesso rimaste nel cassetto, dalle 60mila unità che un programma datato 1999 chiedeva di poter mobilitare al network difensivo europeo dell’Alleanza Atlantica che dovrebbe garantire la mobilitazione agile di 300mila uomini. L’America ha deciso di scegliere, senza gradualità e con strappi, un’altra strada. L’Europa ora cosa farà?