A proposito di distacco euro-americano, la sfida dei dazi che Trump intende imporre all’Unione Europea non va sottovalutata. Il presidente Usa è pronto a portare a ben il 25% l’imposizione su diversi beni come le auto e i prodotti alimentari nell’ottica di pressare il blocco e promuovere una riduzione di un deficit commerciale che nel 2023 ammontava, sul fronte dei beni materiali, a oltre 230 miliardi di dollari, il più corposo dopo quello con la Cina.
La realtà dei fatti parla di un’Europa che arriva divisa e claudicante su questo fronte, come se sull’economia non si fosse ancora colta l’ampia sfida geostrategica insita nel nuovo orientamento americano. Tra Paesi che sperano di essere meno colpiti e “quinte colonne” trumpiste in Europa (ne abbiamo anche in Italia) che ricordano come in fin dei conti i dazi possano essere giustificati dalla pusillanimità europea o, addirittura, come ha detto un economista nostrano possano essere lo stimolo per la crescita dei salari abbiamo di che preoccuparci circa la necessità di una risposta collettiva.
Va sgomberato il dubbio da qualsiasi punto che potrebbe lasciar intendere forme di illusione: non esiste alternativa a una risposta comune europea. Non esiste, innanzitutto, per un vincolo formale: “la politica commerciale da decenni è di esclusiva competenza della Commissione europea. Se quest’ultima avanza una proposta di risposta ai dazi di Trump non possiamo sottrarci. Non scherziamo, siamo vincolati”. Parola del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso che ha sgomberato nettamente il campo. L’altro dato di fatto è sulle questioni dell’economia di scala necessaria per dare una risposta ai dazi. Se consideriamo il fatto che tra i prossimi bersagli di Trump ci sarà il regime Iva, equiparato dalla Casa Bianca a una forma surrettizia di dazio o tariffa, capiamo quanto Washington è pronta a colpire senza distinzione. E urge elaborare una pronta lista di prodotti americani da contro-sanzionare per garantire una precisa risposta a Washington.