La globalizzazione era partita all’insegna di Marco Polo e ora siamo arrivati a un western di John Wayne: la retorica storica del mondo globalizzato parlava di mercati aperti, convergenze d’interessi, dialoghi e confronti tra economie e popoli su quell’asse Oriente-Occidente che l’autore de Il Milione aveva eternato nel Duecento con i suoi viaggi. Trump, come un cowboy dei film di un tempo, pensa diversamente: il mercato è un duello permanente, chi spara per primo ha ragione e chi ha le armi più letali restano gli Usa. In questo duello alla O.K. Corral, Washington ha individuato il rivale da abbattere nella Cina, considerata la massima “profittatrice” della globalizzazione a stelle e strisce.

Washington ha alzato fino al 145% le tariffe su buona parte delle importazioni cinesi, ricevendo in cambio contro-dazi al 125% sulle sue merci. Ma nel frattempo ha proposto anche temporanee esenzioni ai Paesi che hanno accettato di trattare per abbassare le tariffe imposte il 2 aprile, a partire da buona parte dei mercati dell’Asia orientale. L’obiettivo di Washington è far andare avanti la partita su due piani: firmare accordi per il libero scambio con questi Stati strategici e periferici rispetto alla Cina, dal Vietnam a Taiwan, per disaccoppiare le catene del valore a lungo spostatesi nella Repubblica Popolare.

“Un obiettivo che, però, si scontra con diversi ostacoli, a partire dalla profonda integrazione regionale di molte catene del valore, soprattutto quelle di carattere tecnologico”, si è scritto su Sky Insider: “Innanzitutto, va tenuto conto del fatto che i Paesi con cui Trump tratta hanno un interscambio importante con la Cina: Pechino, stando agli ultimi dati, ha un commercio bilaterale di 220 miliardi di dollari col Vietnam, di 162 miliardi con la Corea del Sud, di 138 col Giappone. Difficile affermare a priori che questi Paesi sarebbero disposti a sconvolgere in profondità i loro sistemi economico-commerciali per avallare la strategia di Trump”. Inoltre, molto del commercio che alimenta il deficit commerciale americano o dello stesso circolo di risorse tra le due sponde del Pacifico è legato agli scambi inter-company delle multinazionali Usa.

Paese che, in sostanza, rischia di daziare sé stesso. Per riferirci a un vecchio motto di un film di Sergio Leone, nonostante abbia iniziato il duello è ancora difficile capire se il pistolero Trump sia l’uomo con la pistola o quello col fucile.