Chi guiderà la barca di Pietro dopo il Conclave di maggio sarà chiamato a raccogliere la pesante eredità di Jorge Mario Bergoglio sul piano pastorale e, forse soprattutto, diplomatico. Ma in generale quello della Santa Sede come coscienza critica della globalizzazione.. Spesso messo a confronto con i suoi predecessori, sul piano della visione politico-diplomatica Francesco ha confermato, secondo il direttore di InsideOver Fulvio Scaglione, un elemento fondamentale e cioè che “il papato, si sia credenti o no (anzi, in particolare modo se non si crede e ci si limita a una prospettiva terrena) è da almeno cinquant’anni il vero e più affidabile faro nei marosi della modernità”.

Scaglione ha fatto notare che questo è accaduto “prima con San Giovanni Paolo II, eletto nel 1978, 26 anni e mezzo di pontificato (il terzo più lungo della storia), il Papa della fine del Muro e dei muri (104 viaggi apostolici, una distanza superiore a quella coperta da tutti gli altri Papi messi insieme), il presbitero che sanciva la superiorità della società liberale e insieme ammoniva contro le sue possibili degenerazioni. Poi con papa Benedetto XVI, il teologo Joseph Ratzinger, eletto nel 2005, capace nel 2013 di accendere un faro potente sulle degenerazioni nella Chiesa e nella società tutta con il gesto estremo delle dimissioni, e con la non meno rivoluzionaria gestione del ruolo inedito di “Papa emerito”. E infine, appunto, papa Francesco, eletto nel 2013, il primo pontefice espresso dal continente americano, la personalità a cui, in questi anni, tutti gli uomini di buona volontà hanno guardato come a una bussola nei sempre più frequenti e più disastrosi conflitti”.

Insomma, la Chiesa di Francesco è stata, come attore del mondo, un raro caso di istituzione emancipatrice attenta agli ultimi e alle periferie esistenziali. E ora questa postura impegnativa condizionerà inevitabilmente l’azione del suo successore che verrà eletto dal Conclave più grande e globale di sempre: 135 cardinali elettori di 66 Paesi, fra cui porporati provenienti da luoghi remoti come la Mongolia e il Congo o da territori dove la Chiesa è minoranza attiva come Iran, Iraq, Indonesia, Thailandia. In un mondo articolato, il collegio cardinalizio è post-occidentale, globale, ecumenico ma proprio per questo frammentato.

Sarà difficile far emergere una maggioranza coesa se non ci si concentrerà su un set di temi unificatori e potenzialmente comuni. E lo sforzo per la pace può essere, inevitabilmente, uno di questi.