La scomparsa di Papa Francesco nella giornata di lunedì 21 aprile ha profondamente toccato i fedeli cattolici in tutto il mondo, e non solo. Con la morte del Papa venuto “dalla fine del mondo” scompare non solo il pastore della più grande (in termini numerici) comunità religiosa al mondo, ma anche un leader politico che, negli ultimi anni, ha saputo manifestare un profondo e duraturo impegno per la pace, a qualunque condizione, in diversi scenari.

Quella di Papa Francesco è stata una visione del mondo complessa. Post-occidentale, primo da secoli alla guida del soglio pontificio a non vedere l’Europa come grande e fondamentale espressione della cristianità, ha osservato con attenzione le periferie umane ed esistenziali del pianeta e guardato ad esse come parigrado. Celebre, ad esempio, la scelta di aprire il Giubileo della Misericordia del 2015 a Bangui, nella Repubblica Centrafricana devastata dalla guerra civile. Inoltre, il papato targato Jorge Mario Bergoglio è stato apertamente “geopolitico”, perché la teologia politica del Santo Padre ha profondamente informato la visione diplomatica del Vaticano, orientata alla ricerca di dialogo e confronto in scenari critici.

Dalla Siria, poco dopo la sua elezione, all’Ucraina, dal Sud Sudan alla Palestina non c’è stata area colpita dalle guerre più violente degli ultimi anni in cui la voce della Santa Sede non sia arrivata, producendo spesso la costruzione di ponti diplomatici: in Medio Oriente, con la ricostruzione della concordia tra cristiani e musulmani dopo il passaggio dello Stato Islamico; in Sud Sudan con la fine della guerra civile mediata dalla Comunità di Sant’Egidio; in Ucraina con la mediazione del Cardinale Matteo Zuppi per far tornare a casa i bambini rapiti alle famiglie dopo l’invasione russa.

Infine, il papato di Francesco ha provato ad aprire appieno all’ecumenismo in ogni senso. Sul piano religioso, con la conclusione della Dichiarazione sulla Fraternità Umana ad Abu Dhabi nel 2019 assieme al Grande Imam dell’Al-Azhar del Cairo, con la de-demonizzazione di Martin Lutero agli occhi della Chiesa cattolica, con il dialogo costante con le Chiese orientali. Su quello politico-pastorale, con il grande sogno dell’apertura alla Cina, lui Papa gesuita (primo della storia) che ha concluso l’accordo per la nomina dei vescovi con Pechino nel 2018, prima occasione nella storia millenaria dell’Impero di Mezzo in cui un’autorità sovrana sul territorio cinese ha volontariamente scelto di affidare un, per quanto piccolo, spazio di sovranità a un’autorità straniera. E, nel caso, si è trattata della potestà per la Santa Sede di scegliere i vescovi per le diocesi cui fanno riferimento i 12 milioni di cattolici cinesi.