Nella complessa geopolitica del 2025, la potente immagine di Donald Trump e Volodymyr Zelensky intenti a dialogare seduti su due sedie in mezzo alla Basilica di San Pietro prima del funerale di Papa Francesco ha trasmesso una forza simbolica non indifferente, ma si è anche proposta come cruciale momento politico. Il presidente Usa e quello ucraino hanno accorciato le distanze e si sono parlati dopo che, la settimana precedente, Washington e Kiev sembravano distanti sulle modalità migliori per negoziare la fine della guerra tra l’Ucraina e la Federazione Russa.

Non piaceva agli Usa la continua critica di Zelensky a proposte di pace ritenute indecenti dall’Ucraina, ivi compresa l’apertura alla cessione della Crimea come precondizione per una trattativa con Mosca. E, ancor meno, piaceva a Kiev la percepita arroganza di Washington, ritenuta potenza pronta a abbandonare l’alleato in nome della chiusura della partita.

Da San Pietro ripartirà un nuovo fronte negoziale? Staremo a vedere. Nel frattempo, Roma si conferma capitale diplomatica. I funerali del Papa sono stati sabato 26 aprile, sette giorni dopo l’incontro tra la delegazione americana e quella iraniana proprio nella Città Eterna per i colloqui sul nucleare mediatidall’Oman che ha portato a un livello tecnico la partita.

Alireza Talakoubnejad, giornalista e commentatore iraniano, ha sottolineato in un post su X la “sbalorditiva velocità” del negoziato. La percezione è che esista un attore chiave che possa garantire il patto sul nucleare e quell’attore si chiami Russia.
L’Iran può sbloccare l’Ucraina? Possibile, anche perché per Mosca le questioni aperte ben trascendono l’Est Europa. Si tratta di creare garanzie di sicurezza e stabilità, di fare sistema e di costruire un accordo duraturo: tutto si tiene. E probabilmente, nei fatti, le due trattative saranno prossime all’arrivo quando si capirà che una sbloccherà l’altra.