Nella giornata di venerdì 9 maggio è arrivato il cessate il fuoco in Kashmir tra India e Pakistan dopo due settimane ad altissima tensione in cui Nuova Delhi e Islamabad si sono scambiate colpi oltre il confine della regione contesa e l’India è arrivata nella giornata di martedì 6 maggio a operare una serie di bombardamenti in territorio pakistano, ufficialmente per colpire gruppi terroristici accusati dell’attentato in Kashmir del 22 aprile ma di fatto per intimidire e irretire il vicino.
India e Pakistan, Stati che complessivamente detengono 350 testate nucleari, sono giunte a una gravissima crisi che è la peggiore dalla breve guerra del 1999 dopo che nell’ultimo anno il combinato disposto tra nazionalismo da entrambi i lati della frontiera e provocazioni bilaterali aveva creato un clima incandescente. L’attentato in cui 26 persone sono morte il 22 aprile scorso, rivendicato dall’oscuro gruppo islamista “Resistenza del Kashmir”, ha funto da detonatore per la problematica escalation. Non si può negare che quella andata in scena tra i due Stati sia stata una breve guerra con tutti i crismi dello scontro diretto: bombardamenti missilistici indiani in territorio pakistano, scambi di colpi d’artiglieria, circa un centinaio di morti (ma le cifre sono contrastanti), test di missili navali e schieramento delle flotte, retorica incendiaria, minacce di ulteriore escalation.
Secondo il Guardian, il cessate il fuoco porterà con se una “guerra” di narrazioni che dovrà essere analizzata politicamente. Il Pakistan ha sempre avuto l’obiettivo di
“Mantenere lo stato di conflitto in Kashmir, indebolire il controllo di Delhi e internazionalizzare il conflitto”. I gruppi militanti islamici, alcuni con base in Kashmir, altri reclutati e di stanza altrove, sono stati uno strumento chiave per raggiungere questo obiettivo. Che nessuno nell’apparato di sicurezza pakistano avesse avuto alcuna idea preliminare dell’attacco di aprile sembra improbabile”. Ma al contempo “i funzionari pakistani cercano di evidenziare le cause profonde della violenza: la repressione in corso nel Kashmir, la revoca da parte di Delhi dello status di autonomia della regione nel 2019 e presentano molteplici altre lamentele”. Finiscono gli scontri ma non l’annosa questione di una terra contesa destinata a restare un punto caldo negli scenari globali.