Quando il 6 maggio scorso Mark Carney è arrivato alla Casa Bianca per incontrare Donald Trump il presidente Usa non ha potuto non tributare al primo ministro canadese rispetto e stima per la recente vittoria elettorale del Partito Liberale, guidato dall’ex banchiere centrale di Ottawa e del Regno Unito e che ha saputo rimontare il Partito Conservatore proprio rivendicando una sua distanza e diversità dal vicino meridionale del Paese nordamericano. “Il Canada non è in vendita”, ha ribadito Carney al tycoon, in riferimento alle provocazioni di Trump sulla possibile annessione del Paese agli Usa come 51esimo Stato. Ne è uscita una conversazione a tutto campo, energica ma in cui Carney è uscito a testa alta ribadendo la volontà di Ottawa di proseguire la sua linea favorevole all’unità euro-atlantica e, da presidente di turno del G7, dei virtuosi rapporti con gli alleati extraeuropei.

Carney ha anche ribadito la sua volontà di consolidare l’alleanza delle potenze anglofone (USA, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) fondato sul patto d’intelligence Five Eyes e di proseguire con forza il sostegno all’Ucraina in guerra con la Federazione Russa. Ha sottolineato il sostegno di Ottawa all’ordine multilaterale. Parole? No, anche fatti: il Canada ha consolidato la partnership interna ai Five Eyes con Australia e Regno Unito e Carney ha firmato con Starmer e Emmanuel Macron una lettera critica dell’attacco israeliano a Gaza in nome della difesa dell’ordine multilaterale, annunciando sanzioni contro i coloni israeliani e programmandone contro diversi ministri del governo di Benjamin Netanyahu. Il Canada parla chiaro e prova a consolidare una linea precisa: ricucire tutte le fratture interne all’Occidente. Ce ne è molto bisogno. Carney prova, in virtù della sua “incensurabilità” e dell’effetto-novità, a tirare il gruppo.