Alla mezzanotte ora italiana del 24 giugno il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato su Truth, il suo social network, il raggiungimento del cessate il fuoco nella “guerra dei dodici giorni” tra Israele e Iran, iniziata il 13 giugno scorso con gli attacchi di Tel Aviv contro la Repubblica Islamica, ritenuti funzionali a smantellare il programma nucleare del regime di Teheran, proseguita con l’intensa campagna di bombardamenti dello Stato Ebraico da un lato e lo sbarramento missilistico della Repubblica Islamica dall’altro, culminata il 22 giugno con l’attacco americano ai siti nucleari del Paese mediorientale e che ha avuto le ultime “salve” nella giornata di ieri.

Dopo un pesante bombardamento israeliano sui simboli del regime di Teheran e dopo che l’Iran aveva lanciato un simbolico attacco alle basi Usa in Qatar, nella notte italiana è giunta la notizia inattesa: un cessate il fuoco mediato dal Qatar stesso, confermatosi “ponte” diplomatico del Medio Oriente, volto a porre fine al conflitto che ha portato per la prima volta direttamente in campo Israele e Usa da un lato e l’Iran dall’altro; una guerra in cui sono state usate maxi-armi come le bombe anti-bunker da 13 tonnellate GBU-57 con cui Washington ha mirato ad obliterare i siti nucleari di Teheran; uno scontro in cui l’Iran ha messo nel mirino infrastrutture critiche e città israeliane con  una serie di colpi missilistici che ha messo sotto stesso la difesa antiaerea.

Dopo dodici giorni di scontri che hanno causato tra i 500 e i 1000 morti in Iran, una trentina di vittime civili in Israele e una in Siria, il bilancio politico e militare di questo conflitto è tutto da scrivere, ma si possono tracciare delle prime linee chiare. Sul  fronte militare, Israele ha indubbiamente mostrato una palese superiorità in campo aereo dominando rapidamente lo

spazio sopra l’Iran e arrivando a colpire ovunque nel Paese. Sono stati colpiti obiettivi dei Pasdaran, le basi di lancio dei missili, i campi di volo dell’aviazione di Teheran. Israele ha sostanzialmente vinto la battaglia ma, al tempo stesso, non la guerra perché, alla prova dei fatti, il cessate il fuoco non consolida i tre obiettivi a cui il governo di Benjamin Netanyahu puntava: in primo luogo, la fine delle ambizioni nucleari dell’Iran, la cui riserva di uranio non è stata smantellata. In secondo luogo, la caduta del regime di Teheran. Infine, un totale consolidamento dell’asse con gli Usa. Aggiungiamo a ciò i danni subiti dai missili iraniani e i costi elevati della guerra e avremo un’idea della problematica situazione dello Stato Ebraico. L’Iran resta invece vulnerabile e vede il suo arsenale balistico profondamente depauperato, ma incassa l’obiettivo della sopravvivenza del regime politico e della continuità statuale da ogni infiltrazione. E potrà dunque tornare a futuri tavoli delle trattative certo di non essersi disgregato come Paese.