Domani, 9 luglio, scade la sospensione di tre mesi dei dazi reciproci imposti il 2 aprile da Donald Trump ai partner degli Usa. Washington nella giornata di ieri ha iniziato a mandare alcune lettere operative a diversi partner, dalla Corea del Sud al Giappone, paventando il rilancio dei dazi dal 25 al 40% dall’1 agosto qualora non si conformeranno nuove dinamiche commerciali con gli Usa.

Cosa si coglie da questa mossa? Sicuramente la volontà americana di rilanciare con forza l’offensiva tariffaria, ma anche di mirare sostanzialmente a un accordo. La finestra è spostata di tre settimane. I dazi non partiranno mercoledì, ma l’1 agosto. Ergo: venti giorni in più per trattare. Trump non è soddisfatto del fatto che gli Usa hanno concluso solo due accordi, Vietnam e Corea del Sud, in tre mesi e vuole evitare che gli Usa paghino le conseguenze…di sé stesso, in termini di inflazione e rincari. Come sottolineato su InsideOver, non a caso, pochi giorni fa anche la Fed di Jerome Powell ha indicato nei dazi un motivo per cui l’abbassamento dei tassi da molto atteso

non aveva ancora preso piede: per Powell “I dazi, inevitabilmente, genereranno un impatto inflattivo sull’economia Usa. E anche se ad oggi la scelta di Trump sembra, come confermato dagli accordi commerciali con Regno Unito e Vietnam, quella di imporre le tariffe come una sorta di “tassa d’accesso” al mercato Usa, cercando l’accomodamento con i giganti commerciali come la Cina, le conseguenze delle politiche della Casa Bianca sono ancora tutte da valutare”. Lo spazio per trattare,però, negoziato dal segretario al Tesoro Scott Bessent può aprire per molti mercati, e per gli Usa stessi, opportunità inattese.