Macron brucia il settimo premier in otto anni. Debito in volo, Paese a rischio paralisi.

Sono settimane concitate quelle per la politica francese, dove il presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha visto collassare il nono governo in otto anni dalla sua elezione e bruciarsi, con Sebastien Lecornu, il settimo primo ministro dal 2017 a oggi. Lecornu, 39 anni, già Ministro delle Forze Armate, ha avuto un record negativo: come premier, è stato in carica meno di un mese dalla sua nomina. Il suo governo, poi, nella giornata del 6 ottobre è collassato a meno di dodici ore dall’annuncio dei ministri, con il centrodestra dei Repubblicani che contestava a Renaissance, partito di Macron e Lecornu, la nomina a capo della difesa di Bruno Le Maire, veterano esule del centrodestra detestato dai suoi ex compagni di partito e ritenuto latore di ambizioni presidenziali per il 2027.

Lecornu si insedia dunque in testa alla non lusinghiera classifica dei capi di governo francesi in carica per il minor tempo dall’inizio della Quinta Repubblica fondata dal generale Charles de Gaulle nel 1958. Il predecessore in questo ruolo era Michel Barnier, in carica da settembre a dicembre 2024, uno dei quattro premier cambiati dalla Francia dal voto legislativo del 2024 a oggi. Il Paese è nel caos e Lecornu ha lasciato cercando di creare un campo aperto al centro-sinistra per negoziare almeno una manovra finanziaria. Parigi si trova in una trappola politica legata alla gestione del debito pubblico.

Da un lato, è evidente quali siano le problematiche della Francia e quanto gravemente possa impattare un debito oltre il 110% del Pil e in costante crescita unito a un deficit ben oltre il 5% e non governato, dato che sia Barnier che François Bayrou sono stati presi d’infilata dal Parlamento prima di poter implementare una manovra di taglio alla spesa pubblica.

Dall’altro, Macron ha tassi di gradimento nel suo secondo mandato che entra nella fase conclusiva (il presidente non si può ricandidare nel 2027) in costante discesa e dunque anche ogni appello alla responsabilità nazionale rischia di cadere nel vuoto di fronte all’aumento della tensione istituzionale e alla pressione esercitata sui moderati dalle ali estreme dello schieramento. A destra, è ormai saldamente il primo partito di Francia il Rassemblement National sovranista e nazionalista guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella.

A sinistra, invece, in seno al Nuovo Fronte Popolare resta centrale La France Insoumise, il partito populista e antisistema del tribuno radicale Jean-Luc Mélenchon. In vista del voto del 2027, ad oggi, i sondaggi dicono che Bardella, data l’impossibilità di Le Pen a candidarsi per le condanne pendenti, prenderebbe oggi il 35%. Melenchon invece otterrebbe il 14% e sarebbe in lizza per qualificarsi al ballottaggio finale. RN e LFI sommati toccano un elettore su due e sono concordi nel rifiutare le politiche economiche e di austerità del governo di minoranza centrista. Questo pone un tema caldo per il futuro della Francia e dell’Europa: un contagio radicale a Parigi può creare un domino nell’Esagono e uno scollamento dell’Europa. Qualcosa che l’UE di oggi non si può permettere. Lo squagliamento del macronismo apre una prospettiva incerta per l’intero blocco.