«Libano, rialzati! Tornerai a splendere»: Papa Leone XIV, concludendo la messa solenne al Waterfront di Beirut che ha chiuso la sua visita in Libano dal 30 novembre al 2 dicembre, ha così rappresentato il culmine della prima missione apostolica del nuovo pontificato. La visita, così come la precedente in Turchia, ha avuto un profondo significato religioso e politico.

Religioso: in Turchia Leone ha celebrato i 1.700 anni del Concilio di Nicea e ha incontrato il Patriarca ortodosso Bartolomeo in una rinnovata sintonia tra i successori di Pietro e Andrea, mentre in Libano il Santo Padre ha mandato un profondo messaggio di interconfessionalità e dialogo interreligioso in un Paese diviso tra cristiani maroniti, musulmani sunniti e sciiti. In entrambe le visite è stato lo stimolo al dialogo tra le religioni abramitiche il filo conduttore.

Politico, perché in Libano Robert Francis Prevost ha mandato un messaggio di pace. Messaggio anticipato in Turchia, nell’incontro col presidente Recep Tayyip Erdogan, e ribadito a Beirut incontrando il capo di Stato Joseph Aoun e il premier Nawaf Salam e mandando un profondo invito alla distensione interna e regionale. Di fronte a Leone XIV il Libano ferito un anno fa dall’aggressione israeliana e diviso tra il sentimento guerrigliero di Hezbollah e le istituzioni secolari si è ricomposto: il Papa è stato accolto ovunque da folle vastissime e sia la conferenza degli Imam nazionali che lo stesso Partito di Dio hanno salutato l’arrivo del pontefice come l’occasione per accendere un faro virtuoso sul Paese dei Cedri.

Di fronte al mondo politico libanese, Papa Leone XIV ha poi mandato un messaggio chiaro: no al riarmo, no alla conflittualità, no alla logica della forza per risolvere le crisi. E sì alla soluzione a due Stati per la questione israelo-palestinese, su cui il Libano rappresenta l’affaccio più vicino. In Occidente come a Tel Aviv, a buon intenditor poche parole.