Le parole sono pietre. Specie se mal riportate. Di recente ne abbiamo avuto una conferma su un tema critico: la sfida tra Occidente e Russia. Il 1° dicembre, tutte le testate italiane hanno riportato a gran voce le parole dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ex capo di Stato Maggiore italiano e presidente del Comitato Militare della Nato, dichiaranti che l’Alleanza Atlantica era pronta a essere più «aggressiva» contro la Russia, prospettando anche degli «attacchi preventivi».
Parole, queste, che hanno suscitato grande sconcerto e preoccupazione, come altrimenti non avrebbe potuto essere, anche perché ben oliate nelle loro conseguenze dalla reazione della macchina di propaganda del Cremlino.
Peccato, però, che le parole di Cavo Dragone fossero decontestualizzate. Sono state presentate parlando di un conflitto generico, anche di tipo cinetico, lasciando intravedere scenari da terza guerra mondiale, con lanci di missili e uno scontro diretto tra la Russia e l’Occidente all’ombra del conflitto in Ucraina. Ma Cavo Dragone si riferiva a una fattispecie ben precisa: il cyber, teatro dove distinguere tra «difensivo» e «offensivo» è assai labile. E dove, soprattutto, c’è il regno dell’indistinto e molti attori possono apparire come statuali quando in realtà non lo sono.
«Colpire con un virus la fonte identificata di un’aggressione cyber è un atto difensivo», ha ribadito l’ex capo di Stato Maggiore generale Vincenzo Camporini. Il cyber è il teatro più complesso della «guerra ibrida», una forma di conflittualità asimmetrica tra potenze che unisce confronto informativo, strategie di destabilizzazione, operazioni d’influenza. E il cyber spesso è la punta di lancia di queste metodologie di confronto. Dichiararsi in «guerra ibrida» significa sdoganare la rivalità strategica a un alto livello.
Siamo pronti a dirci in tale stato con la Russia? Forse il vero limite delle parole di Cavo Dragone sta nel pronunciante: dovrebbero essere i leader politici a dare la linea. «La guerra è qualcosa di troppo serio per lasciarla fare ai generali», diceva il conte Talleyrand, ministro degli Esteri di Napoleone. Difficile, due secoli dopo, dargli torto.