Il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 cosiddetto “Cura Italia” ha introdotto una norma di rilevante impatto sul tessuto economico-produttivo italiano, vale a dire l’espresso riconoscimento dell’assenza di responsabilità in capo al debitore che si renda tale a causa dell’impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali in ragione dell’attuazione delle misure imposte sul territorio nazionale quale strumento di prevenzione della diffusione del virus Covid-19.
Il riferimento è all’art. 91 rubricato “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”.
È bene fare alcune precisazioni sulla portata della citata norma.
Innanzitutto occorre capire quali siano le misure di prevenzione il cui rispetto comporta la facoltà di avvalersi dell’esonero di responsabilità in esame.
Esse essenzialmente sono da individuarsi in tutti quei provvedimenti emanati in ambito sia nazionale che regionale (vedasi il richiamo agli artt. 1 e 2 del D.L. 6/2020 e dunque ad entrambe le fonti di diritto) di cui assumono interesse ai fini della presente trattazione sicuramente quelli limitativi della libertà di spostamento e di svolgimento dell’attività lavorativa.
Con riferimento al territorio lombardo, si ricorda infatti che le ordinanze emesse dal Presidente della Regione – l’ultima datata 11 aprile 2020 n. 528 – prevedono nel nostro territorio limitazioni più stringenti che sul resto dello Stato, essendo esclusi dal novero delle attività consentite una serie di settori produttivi che rimangono o tornano ad essere invece operativi a livello nazionale (a titolo esemplificativo, le attività professionali, scientifiche e tecniche, tra cui quelle legali e ingegneristiche, sono consentite solo con modalità di “lavoro agile”, mentre restano sospese le attività di riparazione e manutenzione in campo informatico e la vendita al dettaglio di articoli di cartolibreria e cancelleria e di libri).
Alla luce di quanto sopra, l’inadempimento di un contratto che sia conseguenza diretta del rispetto di tali limitazioni, non potrà considerarsi inadempienza contrattuale.
Giusto per fare qualche esempio, un’azienda costretta alla chiusura in quanto avente oggetto sociale non rientrante tra gli ormai famosi codici Ateco di cui all’allegato del DPCM del 22 marzo 2020 e che in forza di tale inattività non ha potuto o non potrà eseguire o portare a termine un contratto perfezionato antecedentemente all’entrata in vigore di tale decreto, non sarà considerata inadempiente rispetto al contratto. Situazione analoga si verificherà per quell’azienda non interessata direttamente dal divieto di esercizio, ma la cui prestazione contrattuale è comunque dipendente da altra resa da impresa sottoposta invece a sospensione (si pensi, ad esempio, ad una lavorazione che richiede la creazione o l’implementazione di un’apposita piattaforma informatica).
Da tenere a mente che sarà comunque onere del debitore fornire la prova della non imputabilità di tale suo inadempimento perchè direttamente connesso al rispetto delle misure governative in atto nonché di aver fatto tutto il possibile per eliminare o quantomeno ridurre al massimo le conseguenze pregiudizievoli per l’altra parte contrattuale della propria inadempienza, in ossequio al principio della buona fede cui devono sempre ispirarsi le parti nell’esecuzione del contratto.
Ragione per cui è consigliabile fare un uso accurato della facoltà in oggetto e, soprattutto, in caso di suo utilizzo, conservare la prova dell’addotta impossibilità della prestazione, per il caso non improbabile in cui sorgesse un contenzioso con la controparte sulla legittimità dell’invocata impossibilità di adempiere.
Occorre a questo punto verificare quali siano le conseguenze derivanti dall’utilizzo dello strumento in esame.
La norma in commento richiama i precetti – deducendone la non applicazione – contenuti negli articoli 1218 e 1223 del codice civile, norme generali in materia di obbligazioni che sanciscono il principio cardine del nostro ordinamento per cui la parte inadempiente o che adempie in ritardo è tenuta al risarcimento del danno arrecato per tale suo comportamento all’altra parte.
Appare pertanto di tutta evidenza che il beneficio di cui potrà giovarsi il debitore inadempiente è ben circoscritto, consistendo nella semplice non imputabilità a suo carico di danni (anche già quantificati convenzionalmente, come per il caso di penali) o di altri pregiudizi (il decreto cita l’ipotesi di decadenze; si pensi, ad esempio, alla presenza in contratto di un termine essenziale per l’esecuzione della prestazione).
Al contempo, però, una simile deroga alla disciplina ordinaria in materia di inadempimento introduce a favore del debitore una posizione di vantaggio ben maggiore di quella apparentemente risultante da una prima lettura della norma in commento: essa, infatti, legittima in sostanza l’inadempimento, essendo chiaro che il non sanzionare un determinato comportamento significa di fatto consentirlo.
Si ritiene tuttavia doveroso fare alcune precisazioni sul significato di tale “legittimazione” all’inadempimento.
In questi giorni di crisi si è sentito ampiamente parlare e si è anche visto invocare da taluni soggetti – talvolta con un’eccessiva leggerezza se non addirittura a sproposito – la situazione della cosiddetta “impossibilità sopravvenuta” per giustificare uno scioglimento dal vincolo contrattuale in essere.
Ebbene, senza alcuna pretesa di esaustività nella trattazione di un tema che sicuramente richiederebbe maggior approfondimento, si vuole tuttavia ricordare come una prestazione, perché possa essere giudicata impossibile ai fini della risoluzione del contratto, deve risultare definitivamente non più realizzabile (o comunque caratterizzata da un titolo o avente una natura tale per cui la sua tardiva esecuzione non possa più essere pretesa o comunque ritenuta d’interesse per il creditore).
Non può pertanto definirsi tale l’obbligazione nascente da un contratto di cui solamente in questo periodo risulti impossibile l’adempimento, ma che potrebbe essere comunque adempiuta una volta cessata la situazione emergenziale.
Nella generalità dei casi, seguendo la linea tenuta dal legislatore nella formulazione di una norma che richiama, non a caso, solo le disposizioni in materia di inadempimento, non anche quelle in tema di impossibilità sopravvenuta, il debitore potrà pertanto invocare una semplice “sospensione” delle obbligazioni poste a suo carico, le quali, tuttavia, dovranno essere portate a compimento una volta venuta meno la causa che ne aveva giustificato la non esecuzione.
Un’ultima osservazione risulta obbligatoria.
Il quadro appena delineato potrà ritenersi valido ed operante nell’ambito di rapporti obbligatori regolati dal diritto sostanziale italiano.
Per tutte quelle fattispecie in cui, invece, le obbligazioni siano disciplinate da un diritto straniero, occorrerà valutare l’applicabilità al rapporto di strumenti analoghi previsti dalla normativa estera per il caso di impossibilità della prestazione.

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