Trump media la pace Azerbaijan-Armenia e riporta l’America in forza nel Caucaso

La recente visita ad Anchorage del presidente russo Vladimir Putin e l’incontro con Donald Trump di Ferragosto hanno fatto molto parlare anche, se non soprattutto, per il fatto che veder russi e americani allo stesso tavolo negoziale a così alti livelli era diventata un’immagine difficile da pensare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Indubbiamente, Mosca e Washington coltivano la comune speranza, per quanto di difficile concretizzazione, di poter consolidare un “codominio” sugli scenari globali di cui non sono più azionisti di maggioranza assoluta. Ma non è solo di distensione che si è parlato.

Trump ha ricevuto Putin potendo contare anche su validi strumenti di pressione sulla Russia, tra cui il rinnovato inserimento statunitense nel Caucaso dettato dalla mediazione di Washington per porre fine al conflitto tra Armenia e Azerbaijan a due anni dall’ultima guerra del Nagorno-Karabakh, vinta da Baku e conclusasi con la definitiva occupazione del territorio conteso nella regione.

Di fronte a uno storico protegé di Mosca, l’Armenia, timorosa per il fatto che la Russia non l’abbia protetta di fronte al più potente vicino Azerbaijan, attivo in campo geopolitico ed energetico e oggi molto distante dalle priorità politiche del Cremlino Trump, ricevendo il presidente azero Ilham Alyiev e il premier armeno Nikol Pashinyan alla Casa Bianca ha portato Washington nel cortile di casa della Russia. La notizia che saranno gli Usa a costruire la via di comunicazione infrastrutturale volta a trasformare il conteso corridoio di Zangezur, che divide le due parti del territorio azero passando per l’Armenia, nella Trump Route for International Peace and Prosperity (Tripp) apre scenari geopolitici interessanti ponendo gli Usa nella direzione di uno sbarco a sud del Caucaso russo e a Nord dell’Iran, aumentando la proiezione dell’Occidente tra Mar Nero e Mar Caspio e innalzando il potere negoziale di Washington.

Il triplice obiettivo di sabotare la saldatura dell’asse dei Brics, di tendere una mano alla Turchia atlantica ma ambivalente e di premere da Sud sulla Russia si saldano anche per non mostrare a Mosca che solo l’Occidente dovrà fare concessioni nella ridefinizione dell’ordine globale internazionale ruotante attorno ai negoziati sull’Ucraina.