Il Regno Unito ha visto l’aggancio del suo debito pubblico al Pil e, cinque anni dopo la formalizzazione della Brexit, si trova a un nuovo bivio sul suo futuro. Il governo laburista di Keir Starmer ha in programma una manovra di netta austerità per fermare un volo del debito che è salito di venti punti in rapporto al Pil nell’ultimo decennio e potrebbe arrivare al 105% entro il 2030, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale.
Lo scenario del Paese di Sua Maestà resta incerto, tra una produzione industriale stagnante e la prospettiva di essere chiuso tra l’incudine e il martello nella guerra commerciale globale. Non a caso, per fare un esempio, Londra ha guardato con timore all’ascesa del gioco di sanzioni e tariffe reciproche tra Stati Uniti ed Europa nel mercato dell’acciaio, temendo di rimanere vaso di coccio tra i vasi di ferro ed essere daziata da ogni direzione.
Dal 31 dicembre 2020, data della formalizzazione dell’uscita del Regno dall’Unione Europea, a oggi, l’economia ha conosciuto, al netto dell’ottovolante del Covid, trimestri a crescita inferiore all’1% per tutto il periodo compreso dal gennaio 2022 in avanti. Al netto di Londra, il Regno Unito è in recessione: il Pil della Capitale è cresciuto da 517 a 617 miliardi di sterline dal 2020 al 2024, arrivando a pesare per quasi un quarto della produzione del Paese. Mentre città come Birmingham hanno dovuto dichiarare bancarotta, Londra corre sulla scia dell’ancoraggio al sistema globale.
E il Regno Unito ha dovuto compensare con spesa pubblica, sovvenzioni e dunque debito un contesto che ha visto, secondo i dati Eurostat, una perdita potenziale di 4 punti di crescita del Pil in 5 anni e 15 punti di export commerciale cumulati dal 2020 a oggi per effetto della Brexit.
Per tacere dell’elefante nella stanza: l’arretramento di Londra nella “geografia dei talenti” per la minore attrattività del Paese. Disuguaglianze da un lato, tensioni dall’altro: il percorso su cui il Regno Unito si incammina è tutto fuorché certo.