Guerra tra bande in Ecuador, violenze crescenti in Paesi come il Perù, minaccia d’intervento militare americano in Venezuela, mattanza nelle favelas a Rio de Janeiro ed emergenza in Brasile. C’è l’ombra della droga dietro il crescendo di caos e violenza che sta insanguinando l’America Latina, risale fino al Messico e coinvolge profondamente anche gli Stati del Mesoamerica e dei Caraibi.
Quella che in Occidente arriva come una problematica legata a eccessi, vizi e abusi della società del benessere, nei Paesi del Sud Globale e nel continente di frontiera per eccellenza è una condanna sociale per milioni di persone.

La diffusione del narcotraffico è un problema criminale noto. Ma ha come sottostante l’esplosione degli abusi di consumo e utilizzo di sostanze alteranti, dalla cocaina al fentanyl, nei sobborghi urbani e nelle periferie umane ed esistenziali delle grandi città del continente latinoamericano.

Le favelas e le villas miserias diventano dunque trappole in cui la droga è motore dell’economia sommersa, fonte della violenza che divide comunità e gruppi interni, sostanza utilizzata come merce di scambio, dipendenza usata come vincolo di sottomissione e ancoraggio degli abitanti a un sistema da cui c’è poca via d’uscita.

Questo è un dramma sottaciuto che emerge quando appaiono operazioni come quella della polizia brasiliana del 28 ottobre, durante l’Operaçao Contençao lanciata dalla BOPE, la Polizia Militare brasiliana, contro il Comando Vermelho nelle Favelas di Alemão e Penha. Azione nella quale sono state arrestate 133 persone, sequestrate 93 armi da fuoco ed è stato posto d’assedio un territorio dove il cartello trovava sostegno compiacente. Il risultato: 128 morti nella favelas, più 4 agenti di polizia uccisi.

Un massacro nella lotta al narcotraffico che mostra l’ampiezza del fenomeno, impossibile da battere solo con il pugno duro. Ma da affrontare in tutte le sue sfaccettature politiche ed economiche.