La recente visita di Edi Rama in Italia ha mostrato come lo spazio d’influenza di Roma nel suo estero vicino abbia nel rapporto con l’Albania un punto d’approdo primario e da non far sfuggire per la proiezione internazionale della Repubblica. Rama e la premier Giorgia Meloni hanno firmato importanti accordi di partenariato, compresa una joint venture navale che porterà Fincantieri a sbarcare in Albania, e il capo del governo di Tirana ha messo il suo Paese nella posizione per offrire all’Italia sponda politica e diplomatica. Per Roma l’occasione è di quelle da non farsi sfuggire.

L’Albania è la porta di casa della nostra politica estera, uno Stato piccolo, ma strutturalmente amico dell’Italia. Centinaia di migliaia di albanesi sono stati accolti in Italia e lavorano, contribuendo al benessere economico e all’evoluzione sociale del Paese. Di contro, Tirana non ha mai mancato di utilizzare le sue limitate risorse, ma al contempo una notevole generosità, quando, ad esempio, nel 2020, l’Italia travolta nella pandemia necessitava di medici e infermieri.

Contribuire all’avvicinamento tra Albania e Unione Europea e allo sbarco di Tirana nel blocco è puro e semplice interesse nazionale italiano: amplierebbe la proiezione mediterranea del blocco, preverrebbe l’eccessivo inserimento nei Balcani di attori come la Turchia, darebbe all’Italia una proiezione geopolitica più profonda. E, en passant, rafforzerebbe l’integrazione industriale, potenzialmente estendibile anche ad un altro attore: la Serbia. I Balcani sono la potenziale polveriera d’Europa: Serbia e Albania, due Paesi rivali, ma che Roma ha il dovere di avvicinare all’Ue in nome della stabilità regionale. Dei Balcani più europei contribuirebbero a un’Europa più sicura e stabile.

E l’Italia è l’attore che può contribuire a renderli tali.